ANTROPOCENE – Quando l’Uomo svende il Pianeta per “progresso” e “benessere”.

Quattro città vengono distrutte per far posto ad una miniera a cielo aperto, con enormi macchine escavatrici che si “mangiano” la terra. Altrove, nel frattempo, sorge una chiesa-capannone: un edificio di proporzioni talmente smisurate da contenere 1 milione di fedeli. E intanto una discarica ospita 250mila persone, che vivono smistando rifiuti a mani nude.

Sembra una distopia. Potrebbero essere scene di un film di finzione, concepite dalla fantasia di un bizzarro sceneggiatore. Invece sono tutte situazioni reali. Accadono rispettivamente in Germania, Nigeria e Kenya. E sono solo 3 delle rivelazioni del documentario Antropocene – L’epoca Umana (qui il trailer). 

Si tratta di un film concepito dal pluripremiato team canadese formato dal fotografo Edward Burtynsky e dalla coppia di registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, pensato come conclusione ideale di una trilogia iniziata nel 2006 con Manufactured Landscapes, dedicato all’impatto dell’industria sul paesaggio, e proseguita nel 2014 con Watermark, sul ruolo dell’acqua nell’evoluzione umana. L’opera nasce da un progetto di ricerca ad ampio raggio, che comprende una mostra fotografica itinerante e lo sviluppo di percorsi educativi.

Il titolo si riferisce all’epoca geologica attuale, “in cui l’ambiente terrestre nell’insieme delle sue caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche, viene fortemente condizionato su scala sia locale, sia globale dagli effetti dell’azione umana, con particolare riferimento all’aumento delle concentrazioni di CO2 e CH4 nell’atmosfera”. La definizione (qui spiegata, per massima precisione, con l’aiuto della voce dedicata a questo neologismo dal vocabolario Treccani) è ben supportata dalle immagini del film, che procede come un video-saggio, allineando una narrazione strutturata in capitoli, accompagnati da una efficace voce narrante (nella versione italiana la speaker è Alba Rohrwacher).

Dall’Estrazione all’Estinzione, passando per Terraformazione, Tecnofossili e Antroturbazione.

Questi i titoli delle macro-sequenze che compongono l’opera. 

Un diario della catastrofe, verrebbe da pensare. È così, in effetti, ma come tutti i diari, se divulgato, può rivelarsi uno strumento per prendere coscienza della situazione: può trasformarsi in una guida.

Basta scorrere velocemente il breve elenco, infatti, per rendersi conto di quanto sia importante approfondire alcuni fenomeni che caratterizzano il nostro tempo, restando tuttavia sottotraccia. Perché nonostante si parli molto di ambiente (pensiamo solo alla rinnovata ondata d’attenzione, in particolare da parte dei più giovani, inaugurata con l’attivismo di Greta Thunberg e la nascita del movimento Fridays For Future) almeno alcune di queste parole non emergono o comunque non spiccano nel dibattito collettivo.

Prima di mostrarci la scenografica estrazione del litio nel deserto di Atacama, in Cile, il film rende conto di quella del marmo, una pratica comune, storicamente, anche in Italia.

A colpire è il cambio di prospettiva reso possibile da Antropocene : immagini che potrebbero essere parte di documentari industriali, diventano invece emblemi dello sfruttamento sconsiderato delle risorse naturali, quando contestualizzate in una riflessione sulla sostenibilità. Lapidarie, così, risuonano le parole dell’anziano cavatore di Carrara intervistato, che spiega d’aver visto velocizzarsi a dismisura i processi di sfruttamento durante la sua carriera. Questo significa che il “motore” dello sviluppo è alimentato da voracità, avidità, ingordigia. L’idea stessa di progresso è compromessa.

Sono questi lampi critici ad accendere le coscienze, a rendere le immagini mozzafiato utili per una riflessione che metta al centro la responsabilità dell’uomo, invece della volontà di potenza. 

Nella sezione dedicata alla terraformazione sconvolge l’assistere alla distruzione mirata di centri abitati, come accade nella cittadina tedesca di Luzerath, dove mezzi meccanici vengono filmati mentre abbattono la chiesa locale, incuranti delle proteste degli abitanti della zona.

In un altrove che, scena dopo scena, sentiamo sempre più vicino, parte del nostro unico Pianeta Blu, vediamo sorgere montagne di rifiuti di tecnofossili, ovvero plastiche, cemento, insomma materiali creati dall’uomo che il ciclo della natura non riesce a smaltire. E così si ammassano nei paesi meno sviluppati, oppure nei mari, dove intanto le barriere coralline subiscono un processo di sbiancamento causato dall’innalzarsi delle temperature. Per arginare le maree (come anche per piegare il territorio alle esigenze di mercato dei trasporti veloci) nasce il fenomeno dell’antroturbazione che costruisce scogliere artificiali (in Cina c’è una barriera marina in continua espansione, da 20 anni) e modella la Terra scavando tunnel (l’inaugurazione del Traforo del Gottardo è un’altra sequenza che sovverte l’abituale schema mentale: l’euforia dei festeggiamenti riletta nel contesto del film risulta lugubre).

Tutte queste attività, svolte in luoghi vicini e lontani, osservate sotto la lente critica del film, rivelano in modo evidente che il rapporto tra uomo e ambiente è andato in “tilt”.

Il motivo? Definiamolo, per sintetizzare, così: uno sfruttamento senza limiti delle risorse naturali. Per produrre di più e più velocemente. In nome di un’idea di benessere sfrenato, che non tiene conto dell’equilibrio del nostro ecosistema, compromettendone in modo drastico il futuro. E anche il presente.

Un film su una catastrofe in corso, che tuttavia non risulta catastrofista sebbene il capitolo finale sia dedicato alla parola più sconvolgente: estinzione.

C’è spazio per la speranza, in un epilogo che suona come un appello: siamo tutti coinvolti, la tenacia che è stata alla base del “progresso” può anche essere motore per il rinnovamento ora necessario.


SPUNTI DI DIBATTITO:

1) Alcune situazioni mostrate dal film potrebbero sembrare lontane dalla nostra quotidianità: è davvero così? Quali sono i collegamenti possibili?

2) Possiamo fare un parallelismo tra le problematiche denunciate nel film e le criticità ambientali delle zone dove viviamo?

3) La visione di Antropocene ci mette “in crisi” anche per quanto riguarda la prospettiva della transizione dall’utilizzo di energie fossili all’elettrico. Quali criticità emergono?

4) Qual è l’impatto sull’uomo (inteso anche e soprattutto come lavoratore) di questo modello di sviluppo? 

5) Che cos’è il benessere? Trova una tua definizione di questo concetto.