C’MON C’MON – «Trova un modo per trovarti»

Johnny è un giornalista radiofonico di mezza età, single, dalla fisicità imponente e dall’animo apparentemente solitario. È, invece, molto legato ai suoi collaboratori e trova linfa vitale nei tanti incontri con persone nuove che il suo lavoro prevede. Mentre sta scandagliando gli Stati Uniti per intervistare bambini e adolescenti, delineando un panorama di giovani voci che raccontano il presente con lo sguardo rivolto al futuro del Pianeta, riallaccia i contatti con sua sorella Viv (Gaby Hoffmann), incrinatisi nelle fasi finali della malattia che colpì la loro madre. Un riavvicinamento che si trasforma in sostegno: Johnny si offre, infatti, di badare al nipotino di 9 anni Jesse, scoprendo che Viv è impegnata a occuparsi del marito, che attraversa un momento critico per la propria salute mentale.

Il ruolo di zio, così, si trasforma per Johnny in un’occasione di vivere un’esperienza del tutto simile alla paternità, ritrovandosi costretto dalle circostanze a viaggiare con Jesse al seguito in diverse città americane e rendendosi conto delle tante responsabilità concrete di cui è costellata la quotidianità di un genitore, esplicitate nelle lunghe telefonate con la sorella. In modo speculare, per Jesse, vivere con lo zio si rivela un percorso di crescita, innescata dall’incontro-scontro con un adulto che è sia un mentore, che un tutore. Due generazioni si confrontano in modo onesto e poetico. (Qui il trailer)


«Trova un modo per trovarti». L’ultima frase, sul finire dei titoli di coda del film, suona come un invito a vivere sereni. Rappresenta sia il lascito, che la chiave di lettura del film più delicato e vivido scritto e diretto da Mike Mills. È la chiosa che sancisce la coralità delle tante testimonianze di giovanissimi, intervistati dal giornalista radiofonico Johnny (un Joaquin Phoenix, magnetico nell’alchimia tra fisicità irrobustita e modi lievi), intento a condurre un’indagine sui sogni e le speranze per il futuro degli adolescenti statunitensi.

Nel suo porre domande e analizzare la realtà riecheggiano l’interesse e la passione tipica del documentarista, suggerendo un’ottica metaforica per leggere il film come un grande omaggio al mestiere del cinema. Tuttavia – sebbene l’attitudine del personaggio ricordi esperienze italiane come il veltroniano «I bambini sanno» o «Arimo!» di Mirko Locatelli – il peregrinare a mo’ di Diogene messo in forma da «C’mon c’mon» serve a farsi scenario per supportare una storia intima.

Woody Norman e Joaquin Phoenix

Occuparsi del nipotino Jesse, per aiutare la sorella, consente a Johnny l’esperienza d’immedesimazione più immersiva di sempre: un vero viaggio nella genitorialità, dove privato e universale collimano, mentre nella dinamica tra zio e nipote riecheggia l’«Alice nella città» di Wim Wenders. Non è una simulazione, non è un racconto, è vita che prende forma, attimo dopo attimo, con tutti i rischi tipici della realtà. Non si può osservare, ascoltare e registrare, per poi montare il meglio di quanto raccolto: tutto avviene in un flusso temporale inarrestabile e quando Jesse sparisce all’improvviso tra la folla o fa un capriccio, Johnny non può premere pausa e tornare indietro per risolvere il problema, può solo affrontarlo nel presente, decidendo al volo quale sia la strategia migliore. L’incontro tra uomo e bambino (dalla pettinatura e dai guizzi in stile «Il ragazzo selvaggio» di Truffaut) è l’occasione di una presa di coscienza: il futuro si può immaginare, ma va costruito da subito, in ogni gesto.

Riecheggia, in tutto ciò, anche un afflato ambientalista. J. e J. registrano i suoni del mondo, si studiano a vicenda, attraversando insieme la selva della vita – esplicita è la citazione iconografica del pittore Rousseau – mentre Detroit, Los Angeles, New York e New Orleans brillano, nel bianco e nero desaturato di immagini rigorose: città trasformate in splendidi formicai da esaminare.

Mills pare proprio «trovarsi», come autore, in questo film ambizioso e riuscito sulla ricerca dell’essenziale, visto come un imparare a costruirsi ricordi, che poi è, sì, proprio un… fare cinema.

«Su, forza, andiamo, procediamo»: sono molte le sfumature dell’esortazione che dà il titolo all’opera. Un incitamento che tanto spinge chi ne è destinatario a crescere, tanto spazza via la solitudine di chi trova la forza per pronunciarlo, instaurando una relazione confidenziale con l’altro. Quella stessa magia intima che è l’essenza della radio e del cinema, mezzi di comunicazione ancora carichi di fascino e capaci di rappresentare pause nella frenesia del quotidiano vivere simultaneo, imposto dall’era dei social network, dove chiunque può avere il proprio «speakers’ corner» personale, senza tuttavia provare la stessa emozione dell’essere intervistato da qualcuno – come Johnny – che, sebbene per il tempo di un breve incontro, pone attenzione e cura al prossimo.