Cosa si prova a confrontarsi con una verità così sconvolgente da non riuscire a raccontarla? Quanto tempo ci vuole per accettare il fatto che conoscere una realtà, per quanto negativa possa essere, non è abbastanza per riuscire a cambiarla?
Queste sono solo alcune delle tante domande che ronzavano nella testa di Giulio Tonincelli dopo la lunga notte del 2013 che cambiò, di fatto, la sua prospettiva. L’aveva trascorsa accanto ai ribelli siriani, accompagnandoli nella rischiosa impresa di attraversare il confine per rientrare nel loro Paese dalla Turchia.
Un viaggio ad Aleppo che Zaher, un maestro d’inglese siriano impegnato ad aiutare i feriti in un ospedale campo sul confine turco-siriano, aveva organizzato proprio per guidare Giulio: il documentarista venuto dall’Italia. Voleva portarlo fino al cuore dei fatti, affinché le sue riprese potessero testimoniare al mondo la realtà, l’orrore. Una notte destinata a diventare scenario di un percorso costellato di dettagli, tutti pronti a trasformarsi in interrogativi nella mente di Giulio, che a poco a poco si stava inoltrando in un labirinto, un personale Apocalypse now.
E il tempo, alla fine, ha risposto ai quesiti, a modo suo, senza fretta. È stato in particolare durante il lockdown della scorsa primavera, quando Giulio ha montato le immagini filmate quella notte, realizzando il cortometraggio Stupid Naive & Lucky (qui è visibile il trailer) che in questi giorni è in concorso all’Izmir International Short Film Festival, il più importante evento di settore turco, parte del circuito Oscar. Un’orbita che si chiude, un ritorno al punto di partenza, sette anni più tardi.
La vera risposta che emerge da tutta questa storia, tuttavia, non sta nella misura della distanza temporale, ma nel processo di elaborazione. È la potenza dirompente del gesto creativo, che ha avuto bisogno del giusto tempo per maturare. E che riassume una presa di coscienza, si trasforma in confessione, raccontando quella che l’autore definisce «l’esperienza di un ragazzo ingenuo travolto da emozioni che non è in grado di dominare, sedotto dalla presunzione di poter cambiare le cose con le proprie azioni». È proprio così che Giulio descrive se stesso, al passato, confidando: «Questo è un documentario intimo, perché nasce dall’esigenza personale di condividere l’esperienza più folle della mia vita e chiudere così un cerchio, soprattutto mentale, che era rimasto in sospeso. Autocriticandomi, mettendomi a nudo, svelando le mie insicurezze e l’impreparazione di allora nell’affrontare quel contesto».
Nuovi incontri hanno mosso Giulio a portare a termine il progetto, facendo squadra con il montatore Alessandro Belotti (già montatore per i registi Andrea Brusa e Marco Scotuzzi di Magic Alps, che fu in cinquina ai David nel 2019, e Il Muro Bianco, entrambi presentati a Clermont Ferrand, uno dei festival di corti più importanti al mondo) e la produttrice tedesca Laura Weber (che vanta la partecipazione al film documentario Cunningham, presentato al Toronto Film Festival 2019).
E poi c’è voluta una scintilla, per riaccendere la storia sopita.
Se ne trova traccia nel titolo: «È stata una chiacchierata con un ex fotogiornalista, il primo a riuscire a fotografare, negli anni Ottanta, le coltivazioni e i laboratori dei narcos di Pablo Escobar, nascosti in Amazzonia. Mi raccontò la sua rischiosa avventura giovanile e concluse con “Fui sciocco, ingenuo e fortunato”. È stato quello il “la” per riprendere in mano il mio materiale siriano».
Dopo il premiatissimo Happy Today, girato in Uganda e divenuto parte del prestigioso catalogo del CNC, Giulio con Stupid Naive & Lucky opera un “flashback” nel suo percorso e indaga nelle pieghe della sua coscienza artistica.
Confida: “Mi sono concentrato su ciò che volevo esprimere scavando dentro me, senza curarmi troppo dell’estetica. Non avevo mai realizzato qualcosa che riguardasse me stesso in prima persona e credo sia tra le cose più difficile da fare”.
L’indole avventurosa è comunque rimasta, ben radicata nel suo desiderio di muoversi per raggiungere l’essenza di ogni situazione. E così si dice oggi dispiaciuto di non poter ripartire per la Turchia:
“Il bello dei festival è viverli e respirarli, incontrare persone e viaggiare verso nuovi luoghi in base alle selezioni dove possono nascere spunti, collaborazioni o anche solo amicizie. Purtroppo in questo momento tutta la socialità culturale è considerata “illegale” (nonostante le numerose precauzioni esistenti, che potrebbero mantenere attive determinate realtà) dando così un ulteriore colpo alle arti in generale, già corrose da un modello di vita socio-economico individuale e capitalista, dedito al consumo e alla velocità e per nulla meditativo.
Detto questo sono estremamente felice che in un anno così particolare, questo piccolo progetto riesca in qualche modo a vedere la luce!”.
Luce che emerge da una lunga notte, a ricordarci che anche da spettatori, usciti dalla sala, non è mai tardi per (ri)aprire gli occhi.