MUJERES – L’antropologo Raúl Zecca Castel dà voce alle donne oppresse

“Se vuoi scrivere un libro sulla nostra vita, sulla vita delle donne in questa comunità, allora devi scrivere che qui non esiste la felicità. La cosa più bella nella vita è vivere per l’amore, per la felicità, ma tutto questo noi non l’abbiamo, e se io dovessi scrivere un libro sulle disgrazie della mia vita ti assicuro che non basterebbero tutte le pagine del mondo”. (Da Mujeres di Raúl Zecca Castel)


Oggi in coro. Ma anche ogni giorno, come singole voci. 

Celebrare in modo attivo la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (istituita nel 1999 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite) è un’occasione per mostrarsi coesi, insieme, nel condannare abusi, soprusi, violazioni dei diritti, ma anche sguardi miopi e retrogradi e mancate opportunità.

Uno dei modi di perseverare nel battersi per sradicare la violenza è disinnescarla attraverso l’esempio di chi si impegna con azioni concrete per delineare i tratti del problema, scavando in profondità e dando voce a storie da conoscere per comprendere.

Come ha fatto l’antropologo Raúl Zecca Castel, con la ricerca sul campo condotta per il suo nuovo libro Mujeres. Frammenti di vita dal cuore dei Caraibi (Edizioni Arcoiris, Salerno, 2020). Qui il booktrailer. È un particolare volume d’interviste, che si intrecciano per rendere conto della situazione di vita nell’entroterra della Repubblica Dominicana. Racchiude le appassionate testimonianze di sette donne di origine haitiana residenti nei bateyes, il lato nascosto del sogno turistico caraibico.

Un libro prezioso per il tema, che presenta anche una struttura narrativa sorprendente.

“Non si tratta – spiega Zecca commentando il particolare indice – di un nuovo gioco enigmistico, uno strano rebus o una misteriosa crittografia, ma dell’indice di “Mujeres. Frammenti di vita dal cuore dei Caraibi”, un libro che invita a sperimentare forme di lettura diverse e complementari, costruito da storie che si intersecano l’una con l’altra, e che ha l’ambizione di funzionare come “una macchina per moltiplicare le narrazioni”, qui intese come strumento di consapevolezza ed emancipazione sociale”.

Il testo è illustrato dalla pittrice catalana Magda Castel, madre dell’autore, che ha anche dipinto l’immagine di copertina.

Raúl da anni approfondisce i temi sociali e le dinamiche di schiavitù legate al lavoro dei tagliatori di canna da zucchero nelle piantagioni presenti sull’isola. Durante i suoi viaggi d’indagine, che prevedono spesso lunghe permanenze (anche 5 mesi, per intenderci), grazie al rapporto confidenziale stabilito con la popolazione è riuscito a far luce su tante situazioni critiche, raccontate sia con reportage e libri, sia attraverso l’attitudine da videomaker, come dimostra il documentario Come schiavi in libertà.

Il linguaggio degli audiovisivi è da sempre una forma d’espressione nelle corde dell’antropologo, così è stato emozionante stimolarlo a ripensare ai film che hanno avuto un ruolo nel corso della sua vita e della sua formazione. 

Ecco dunque, la sua bellissima cine-mappa, tra film corali e ieratici antieroi.


“Sono sempre stato catturato – racconta Raúl – dai film che trattano di persone comuni, amo i non protagonisti che spiccano il volo, disegnando traiettorie di vita straordinarie. 

Insomma, mi interessano il riscatto degli ultimi e la dignità umana dell’individuo contro il sistema. Storie di vita ordinaria, anche di minoranze. Vicende che mettono in luce quella violenza quotidiana che schiaccia. E cercano di superarla”.

E forse anche il cinema, tra le diverse suggestioni che concorrono a tracciare la direzione della vita, ha avuto un ruolo nell’orientare quella del futuro ricercatore.

“Mi sono reso conto che forse il primo mattoncino del mio interesse successivo per l’antropologia è stata la visione, da bambino, del film Alive (Frank Marshall, Usa 1993 – basato sul disastro aereo avvenuto sulle Ande nel 1972). Risultava avvincente per l’iniziale senso d’avventura, per poi virare ad affrontare un tabù, quello del cannibalismo. La prospettiva particolare era un punto critico: a mettere in atto quella pratica, per non morire di fame dopo lo schianto del velivolo, negli oltre due mesi trascorsi in attesa dei soccorsi, erano soggetti appartenenti ad una popolazione vicina a noi (tra i passeggeri anche i giocatori della squadra uruguaiana di rugby – ndr), nei quali ci si poteva dunque immedesimare”. 

Era quello il click mentale.

“Da spettatori potevamo chiederci quale scelta avremmo compiuto, noi, in una situazione del genere! La visione ha dato uno scossone a quelli che iniziavano già ad essere miei interessi concreti, come la frontiera tra natura e cultura e i dilemmi etici, grazie anche ai tanti viaggi fatti per seguire mio padre Adriano (brillante e appassionato documentarista attento alle questioni sociali, che ha di recente festeggiato i 50 anni di carriera – ndr).

Un altro “campanello” è stato Ladri di biciclette (Vittorio De Sica, Ita 1948), anch’esso visto durante l’infanzia: una fotografia dell’eterna sconfitta dei poveri degli onesti. Vedendolo ricordo d’aver provato compassione verso questo padre di famiglia, dispiacere per la sua perdita di dignità, rabbia per l’ingiustizia sociale. Insomma, iniziai a capire quell’eterno ritornello della guerra tra poveri che purtroppo è sempre attuale, e fortunatamente ben raccontato dal cinema, da autori come Ken Loach. Un esempio? Ci ho pensato di recente, vedendo il suo Io, Daniel Blake (GB, Fr 2016). Una narrazione epica che evidenzia, in parallelo, i contrasti tra benessere e indigenza, è poi naturalmente quella di Novecento (Bernardo Bertolucci, Ita-Fra-Ger 1976), dove le vicende speculari tra ricco e povero (interpretati da Gerard Depardieu e Robert De Niro) emergono con evidenza, fino ad esplodere nell’urlo “Il padrone è vivo!”, che risuona ancora, a oltre quarant’anni di distanza”.

Si potrebbe costruire una vera rassegna, dialogando di cinema con Raúl, e infatti non perdo l’occasione di proporglielo e trasformare questo suo excursus nella bozza di una selezione che potrebbe essere fantastico proiettare in sala, appena sarà possibile, portando l’antropologo ad incontrare il pubblico, per un confronto a più voci sul terreno fertile preparato dalla settima arte.

A comporre il quadro, c’è anche Freaks (Tod Browning, Usa 1932) “che interroga l’essere umano: “solleva la questione del confine tra apparenza e interiorità, rivelando – quasi un secolo fa – che coloro che apparentemente sono mostri, di fatto sono animati dagli stessi sentimenti che tutti conosciamo. È un film che aiuta molto a sensibilizzare, non credo che l’intenzione fosse pedagogica, tuttavia consente di andare oltre ai pregiudizi. Lo associo a Qualcuno volò sul nido del cuculo (Miloš Forman, Usa 1975) dove l’aspetto mostruoso ad emergere è quello dei demoni interiori. Un’indagine per andare oltre la superficie, per interrogarci sull’equilibrio tra ciò che è normale e ciò che non è considerato tale (un altro confine, insomma, oltre a quello già citato, tra natura e cultura).

E poi ci sono l’analisi e la denuncia del sistema (la messa in discussione della gestione della salute mentale), la volontà di riscatto: l’opporsi, che in questo caso diventa una fuga. 

Ponendo l’attenzione sugli aspetti più nascosti e oscuri della natura umana, c’è poi M – Il mostro di Düsseldorf (Fritz Lang, Ger 1931): mi ha sempre colpito per l’atmosfera e per il racconto del tribunale popolare, composto tra l’altro di delinquenti, che si sentono minacciati dal mostro, in quanto tutti accusabili dei suoi stessi crimini: giudici e aguzzini di un loro pari. Sfaccettature e dinamiche che riguardano la morale, l’etica, il potere. Un sottosuolo alla Dostoevskij.

Questi film sono pretesti, non li considero gli unici significativi per la mia vita, semplicemente questa chiacchierata è stata l’occasione di interrogarmi”. 

Dalla carrellata dei principali ricordi da spettatore rimasti a decantare nell’animo dell’antropologo, tuttavia un’evidenza spicca: sono tutti film corali, con al centro la figura dell’antieroe. Scintille per accendere il fuoco dell’interesse per le questioni sociali.

“Retrospettivamente – confida Raúl – mi sono reso conto che questi titoli hanno avuto la capacità di essere stimoli di riflessione. Una battuta può farti individuare il nervo scoperto che facevi fatica a scovare. I film sono stati, insomma, fonti di lucidità per esprimere sensazioni che provavo, ma non riuscivo a delineare in modo chiaro. Il cinema è evocativo, come la poesia: riesce a dirti, magari con un’immagine: ecco, è proprio questo che sentivo, cercavo, volevo dire!”.