Film + sport = sguardi di una pallavolista di Serie A1

Passione. Sport. Infortunio. Film. Ripresa.

Parole che, sommate, riassumono il palpitare della vita.

Ad allinearle, ragionando su quanto i film rappresentino strumenti per rileggere in controluce la nostra esistenza, è stata Benedetta Maria Sartori, studentessa del laboratorio di critica cinematografica che conduco all’Università dell’Insubria, nonché pallavolista di Serie A1 con la maglia del Casalmaggiore. 

Proprio a partire dalla sua esperienza sportiva, le ho proposto alcune visioni ad hoc e chiesto di scrivere un testo critico seguendo una particolare ottica, quella che, in fondo, rappresenta il dna di Cinemap., ovvero l’idea di “orientarsi con i film”: desideravo invitarla a indagare il rapporto tra cinema e sport, spingendosi nel personale solo se – e quanto – avesse voluto. Poteva inviarmi un semplice compito di fine corso, invece, con grande generosità e trasporto, Benedetta ha scritto parole che possono ispirare (e non solo gli sportivi!), e acconsentito, ora, a condividerle qui, dove riflettiamo sul potere e sul significato del cinema.

Eccole, buona lettura e buone visioni!

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Il mio film preferito è In Time di Andrew Niccol, del 2011. Ricordo ancora la prima volta che l’ho visto. Ero piccola, avrò avuto quindici anni, e fu mio padre a mostrarmelo.

È ambientato in un ipotetico futuro, nel 2169, immaginando che le persone siano geneticamente programmate per invecchiare soltanto fino a 25 anni; inoltre, anche il loro sviluppo fisico si ferma a 25 anni: a quel punto sull’avambraccio di ognuno si attiva un timer, già presente tuttavia fermo dalla nascita. Inizia, così, un conto alla rovescia, che dura solo un altro anno, al termine del quale l’individuo morirà all’istante. Questo limite può essere esteso con ulteriore tempo, permettendo di vivere ancora, senza peraltro invecchiare fisicamente. Il tempo, dunque, è diventato la valuta corrente con cui la gente viene pagata per il proprio lavoro ed è il mezzo di scambio per le necessità e i lussi; infatti, tramite una particolare tecnologia, è possibile immagazzinarlo in appositi apparecchi, trasferirlo da persona a persona e così via. Ne consegue una società squilibrata, dove i ricchi possono vivere per sempre, mentre gli altri cercano di negoziare giorno per giorno la propria sopravvivenza.

In Time (Andrew Niccol, Usa 2011)

Adoro questo film per un motivo specifico, riconoscere nel tempo il fattore che condiziona la vita credo che sia qualcosa di molto particolare. Non ti limiti, così, nel vivere, perché sai che dopo poco la tua esistenza potrebbe terminare. Vivi ogni giorno al 100% facendo tutto quello che ti passa per la testa. Amo vivere giorno per giorno, non mi faccio influenzare dai giudizi degli altri e mi piace vivere una vita spensierata. Ci sono giorni però, nei quali non riesco a ragionare così e mi accorgo, in quei casi, che un atteggiamento diverso non è proficuo. Anche nello sport cerco di essere libera mentalmente e di non farmi influenzare dagli errori, ma non sempre ci riesco. Con il tempo sto maturando e sto cercando di migliorare questo mio aspetto.

Ognuno di noi ha un proprio stile di vita. Tutti però abbiamo in comune il fatto che siamo noi stessi a scegliere la nostra vita, il nostro destino e tutto ciò che ci circonda. Credo che le vite siano un po’ come dei film, tutte diverse tra loro, con storie, avventure e finali differenti. Fin ad ora il mio film di vita mi piace e credo che sia quello più adatto a me.

Sono una ragazza di ventun anni, cresciuta in una famiglia piena d’amore, con due sorelle che sono state per me la mia fortuna. Sono una ragazza molto determinata e penso che tutto quello che sono riuscita a guadagnarmi finora sia soprattutto grazie a questa mia qualità. Fin da piccola, mi sono dedicata principalmente alla scuola e allo sport. Tuttora è così. Gioco a pallavolo dall’età di dodici anni e da quattro anni a questa parte sono riuscita a realizzare il mio sogno più grande: giocare in Serie A.

La pallavolo per me è un lavoro e, in quanto tale, mi occupa praticamente tutte le ore della giornata; per questo il tempo libero che ho a disposizione è davvero poco. Non faccio parte di quella generazione di ragazzi che vivono incollati alla televisione o al computer, mi piace usarli soprattutto per guardare i film oppure i programmi che mi interessano. Amo lo sport e tutto quello che lo circonda, per questo sono solita vedere film, documentari, docu-serie e le serie tv che trattano di ogni genere di attività sportiva. Non nego che un domani, qualora dovessi diventare oltre che una pallavolista anche un personaggio pubblico, mi piacerebbe molto realizzare un documentario sulla mia carriera sportiva, per mostrare come ho vissuto la mia vita e fare da guida ai più giovani per aiutarli a provare a inseguire i propri sogni. Nell’ambito del mio sport, purtroppo, non ho rilevato campionesse e campioni che parlano della loro vita e della loro carriera in film o documentari.

Per quanto riguarda il calcio, invece, è possibile trovare una vasta gamma di film, documentari e serie tv inerenti a specifiche vite di calciatori oppure ad argomenti più ampi, come le squadre di calcio. Ad esempio All or Nothing è una docu-serie creata da Amazon Prime in collaborazione con squadre di calcio come la Juventus, l’Arsenal, il Manchester City e il Tottenham oppure anche con molte squadre di football americano o hockey. Nello specifico, ho guardato All or Nothing, Juventus essendo innamorata del calcio e di quella squadra. È stato girato nella stagione 2020-2021, momento in cui la Juventus affrontò una delle stagioni più difficili della sua storia con l’obiettivo di vincere il decimo scudetto consecutivo e la tanto agognata Champions League. 

Lo riguarderei all’infinito, perché mostra lati di una realtà che un soggetto esterno, come me, non potrebbe neanche immaginare. Le scene che mi hanno fatto riflettere di più sono sicuramente quelle riprese negli spogliatoi prima, durante e dopo le partite. Mostrano come ragionano, in un momento difficile, dei campioni che stanno dando tutto per vincere una partita. In particolare, mi hanno colpito molto la lucidità e la schiettezza usate dal capitano Leonardo Bonucci per parlare ai suoi compagni: non ha timore di esprimere il proprio pensiero o di colpire con le parole, perché sia lui che loro sanno che tutto “è fatto a fin di bene”, per cercare di avere una reazione e cambiare le sorti della partita. Sicuramente queste scene mi hanno dato degli spunti su come comportarmi un domani, se mai dovessi avere il privilegio di fare la capitana di una squadra. L’ambiente femminile non è come quello maschile, quindi bisogna utilizzare delle parole differenti e non è possibile essere schietti come in uno spogliatoio di calcio, però sicuramente mi piacerebbe comportarmi da capitano proprio come lui e fare tutto il possibile per far vincere la squadra.

In Time (Andrew Niccol, Usa 2011)

Ripensando alle esperienze personali già vissute, invece, ecco emergere un ricordo a sfondo cinematografico: poco più di due anni fa, il 22 ottobre del 2020, purtroppo, il destino ha deciso di mettermi davanti ad un bruttissimo infortunio: mi sono rotta il legamento crociato del ginocchio sinistro. Sicuramente la rottura di un ginocchio per un’atleta di alto livello che pratica pallavolo, calcio e basket è un infortunio molto grave: prevede un periodo di riabilitazione lunghissimo e di conseguenza una lontananza dai campi infinita, che sembra non passare mai. Ognuno di noi reagisce a un infortunio in modo differente. Io, all’inizio, non ho avuto alcuna difficoltà a reagire a quanto accaduto, soprattutto perché ho sempre avuto vicino le persone a me più care, che mi hanno sempre aiutato a prendere tutto quello che mi circondava con la maggior positività possibile. Successivamente, invece, una volta tornata sui campi, mi sono resa conto di avere dei blocchi mentali che mi hanno portata a rivolgermi a un mental coach che potesse aiutarmi a superare le mie paure. 

Per caso, ma con un tempismo sorprendente, poco dopo al mio infortunio, nel 2021, sono stati pubblicati sulle piattaforme Netflix e Amazon Prime due film di altrettanti campioni della storia del calcio, Francesco Totti e Roberto Baggio. Ricordo che appena mi misi a guardarli la mia attenzione cadde sui loro infortuni e sul loro modo di reagire ad essi.  Tutto ciò perché in quel momento avrei voluto soltanto che qualcuno mi dicesse come superare un momento di difficoltà e, in modo indiretto, credo che la visione di questi due film mi abbia aiutato molto.

In particolare, ho impresso nella mia testa l’infortunio di Francesco Totti quando si ruppe il perone per una torsione innaturale della gamba. Accadde il 19 febbraio del 2006 e a luglio ci sarebbero stati i mondiali di calcio in Germania. Nessuno credeva che lui potesse recuperare per i Mondiali se non il c.t. della Nazionale Italiana Marcello Lippi, che lo chiamò al telefono i giorni successivi all’infortunio e gli disse: “Ti aspetto”. Furono delle parole che probabilmente Totti non si sarebbe mai aspettato, ma che sicuramente lo hanno spinto a credere ancora di più in sé stesso e a provare a recuperare dall’infortunio. Così, ha avuto una determinazione straordinaria che gli ha permesso – attraversando momenti difficili come allenarsi con il dolore – di compiere quella straordinaria impresa ed essere stato un giocatore determinante per la vittoria dei Mondiali.  Vedere il modo in cui un campione come lui ha reagito ad un infortunio così importante e grave mi ha sicuramente lasciato qualcosa di grande che mi sono portata dentro per superare un momento critico. Di primo impatto, quando il medico mi disse che mi ero lesionata il crociato anteriore della gamba sinistra ebbi la stessa reazione di Roberto Baggio: lui disse alla madre “se mi vuoi bene uccidimi”. Anch’io lo pensai, ma non lo dissi a nessuno. Mi ero vista crollare il mondo addosso, insieme a tutti i sogni che una ragazza giovane come me – e un ragazzo giovane come Baggio, che si ruppe il crociato a 18 anni – poteva avere.

Benedetta Maria Sartori in campo (photo: Tiziana Bettinelli)

Rimanendo in tema sportivo ora vorrei analizzare tre film che ho visto nell’ultimo periodo per il laboratorio universitario di Critica Cinematografica, che mi hanno colpito molto: Butterfly, Race e Borg McEnroe. Ognuno mi ha insegnato qualcosa e soprattutto in alcune scene mi sono un po’ rivista, con la mia vita da sportiva. 

Butterfly è un film di cui avevo già sentito parlare, ma non l’avevo mai visto. Racconta una storia bellissima di una campionessa come Irma Testa, e di tutti i sacrifici che ha fatto per inseguire i suoi sogni. I sacrifici sono alla base dello sport e, sicuramente, uno dei sacrifici più grandi che si possa fare è lasciare la propria casa da piccoli per trasferirsi in un ambiente migliore a livello sportivo. Lei lo fece e venne ripagata con la qualificazione alle Olimpiadi di Rio. Io ho avuto la fortuna di non dovermi trasferire da piccola, perché ho avuto la possibilità di giocare in una squadra di alto livello vicina a casa però, di recente, all’età di vent’anni per inseguire i miei sogni, sono dovuta partire. Ammetto che inizialmente non è stato semplice perché sono lontano dalla mia famiglia però, con il tempo, mi sto abituando e soprattutto do un valore diverso a tutto quello che mi circonda. 

Una scena del film nella quale mi sono rivista molto è quando Irma viene eliminata ai quarti di finale delle Olimpiadi e, nel periodo successivo alla sconfitta, riflette e si convince a lasciare la boxe. Anche io ho passato momenti della mia carriera in cui ho pensato più volte di lasciare la pallavolo, soprattutto dopo sconfitte importanti, quando ho visto crollare tutti le mie sicurezze. Come ha avuto momenti di debolezza Irma Testa, li ho avuti anche io. Mi è piaciuto il suo modo di superare queste debolezze, rifugiandosi nell’amore della sua famiglia e nell’aiuto della madre. Forse, a volte, dovrei farlo anche io, però non solo solita chiedere aiuto a nessuno. I campioni sono degli esempi per tutti e vengono visti a volte come punti di riferimento. Una delle scene finali ritrae Irma Testa nella palestra dove è cresciuta, con una bambina seduta al suo fianco che la imita e le dice che da grande vorrebbe e diventare come lei. Penso che per uno sportivo sia un traguardo immenso sapere di essere visto come un esempio da imitare. 

Race è il secondo film del percorso. In particolare, credo di avere una caratteristica in comune con il protagonista di questo film, la determinazione. Jesse Owens amava sfidare gli altri e gareggiare per vincere. Io sono così, sono molto competitiva, anche in allenamento, detesto perdere e metto sempre tutta me stessa in quello che faccio. Non mi accontento mai e credo sempre che quello che sto facendo non sia abbastanza. Questa mia caratteristica, oltre che nello sport la riporto anche nella vita di tutti i giorni, impegnandomi sempre al massimo anche nello studio. 

Infine c’è Borg McEnroe. Ricordavo d’averlo già visto, qualche anno fa, in un ritiro con la Nazionale Italiana: il nostro allenatore ce lo propose per mostrarci che un tassello fondamentale per ogni sportivo di successo è la mentalità. Da piccola ero come Borg, molto impulsiva e a volte perdevo la testa, ora con il tempo sto cercando di migliorare questo mio difetto perché mi sono resa contro che nell’ambito sportivo non porta grandi frutti. Credo che uno sportivo possa avere tutte le doti fisiche migliori a suo favore, ma senza mentalità non raggiungerà mai traguardi importanti.

Borg McEnroe (Janus Metz, Svezia – Danimarca – Finlandia 2017)

In tutti e tre i film l’aspetto che mi ha colpito maggiormente è stato il rapporto creatosi tra ognuno di questi campioni e il proprio allenatore. La pallavolo non è uno sport individuale come quelli praticati da questi atleti, quindi, è più complicato instaurare un rapporto così intenso con il proprio allenatore, ma non è impossibile. Credo che ci debba essere una conoscenza minima da parte dell’allenatore nei confronti dell’atleta anche in uno sport di squadra. Per migliorare le prestazioni della squadra bisogna, a volte, migliorare le prestazioni del singolo giocatore e solo parlando e capendo le sue esigenze si può costruire una crescita del singolo. Sotto questo punto di vista non sono mai stata particolarmente fortunata perché, nei club in cui ho giocato, ho sempre avuto allenatori non propensi al dialogo con l’atleta e quindi ho sempre fatto fatica a farmi conoscere e a far valere le mie esigenze. Un domani, se dovessi mai diventare un’allenatrice, la prima cosa che instaurerò con le mie giocatrici o con i miei giocatori sarebbe proprio un rapporto di conoscenza per permettere un lavoro migliore. 

Benedetta Maria Sartori in campo (photo: Tiziana Bettinelli)

Se dovessi organizzare una rassegna cinematografica a tema sportivo – come mi è stato chiesto di ipotizzare per il Laboratorio di Critica Cinematografica – ecco i cinque titoli che mi sentirei di mettere in cartellone: 

  • The Last Dance – una docu-serie che racconta l’ascesa del campione Michael Jordan e la storia dei Chicago Bulls. Credo che possa servire come insegnamento, dato che tratta la carriera sportiva di una vera leggenda.
  • Miracle – un film che racconta di una squadra di hockey che viene rivoluzionata da un nuovo allenatore, che ha come sogno quello di battere alle Olimpiadi la nazionale sovietica e ci riesce imponendo un duro lavoro.
  • Non ci Resta che Vincereun lungometraggio con al centro un allenatore professionista di pallacanestro che, dopo essere stato licenziato e arrestato, è costretto ad un periodo di lavori socialmente utili per evitare la detenzione. Si troverà, così, ad allenare una squadra composta esclusivamente da persone con disabilità intellettiva, che gli faranno riscoprire i veri valori della vita e dello sport.
  • Ultima Gara un docufilm sulle vite, le speranze e le storie di cinque nuotatori professionisti uniti dal sogno di stabilire il nuovo record mondiale nella staffetta. 
  • The Blind Sideun film è tratto da una storia vera, che ripercorre la vicenda di un adolescente senzatetto che diventa un campione del football dopo essere stato accolto da una madre risoluta in una famiglia benestante.

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