TOP 10 film del 2022

Arduo compito, davvero. A ben vedere l’anno appena trascorso ci ha regalato parecchi titoli memorabili, dunque sceglierne solo 10 è stato davvero difficile. Ecco la mia lista ragionata (non in ordine di gradimento, bensì cronologico, insomma d’uscita in sala).

Dovlatov – I Libri Invisibili (di Aleksey German Jr.): Sei giorni nella Leningrado bohémien del 1971. Scrivere non è solo tormento artistico o estasi creativa, può piuttosto rappresentare un calvario, soprattutto se si è sospesi nel limbo di un contesto che limita la libertà d’espressione, minando così integrità e identità degli autori.

Beautiful Minds (di Bernard Campan e Alexandre Jollien): In rotta verso la felicità, viaggiando con filosofia. All’arrembaggio a bordo di un carro funebre, per espugnare la felicità. Facile il paragone con il celeberrimo «Quasi Amici», come anche far correre il pensiero fino a «Rain Man», tuttavia nella coppia Louis-Igor emerge un terzo elemento dirompente: la società letta attraverso la filosofia. Si esplicita nelle citazioni che arricchiscono i dialoghi e nello sfondo autobiografico che vede il personaggio di Igor interpretato dal filosofo Alexandre Jollien, che firma anche sceneggiatura e regia con l’attore co-protagonista Bernard Campan.

Flee (di Jonas Poher Rasmussen): Odissea e rinascita di un rifugiato. Un film biografico che potremmo definire «graphic novel animata», ibridata da filmati d’archivio televisivi. Un’odissea personale, che parte dalla Kabul del 1984, culla di un’infanzia dapprima serena – rievocata sulle note di «Take on me» degli A-Ha e che fa ripensare a «Il cacciatore di aquiloni» – interrotta dal rapimento del padre, considerato dissidente dai talebani. Lasciato l’Afghanistan, Amin si ritrova nell’inquieta Russia post-sovietica e arranca nel limbo di chi vive senza documenti, interrotto solo dai tentativi di fuga – a quali allude il titolo – fatti di viaggi della speranza, in balìa dei trafficanti di uomini, sulla rotta del Nord Europa. 

Il Male Non Esiste (di Mohammad Rasoulof): Dilemmi morali del mestiere d’uccidere. In Iran la condanna alla pena di morte è all’ordine del giorno e viene utilizzata anche come spauracchio per reprimere la libertà di pensiero. Tale sistema ha un impatto sociale spesso sottaciuto, che il regista Mohammad Rasoulof riesce a sviscerare scegliendo un angolo d’osservazione preciso: non l’immedesimazione nel condannato, bensì la prospettiva di chi si ritrova nei panni del boia di professione.

Licorice Pizza (di Paul Thomas Anderson): Nascondino nel regno dei sogni. Specchiarsi e rincorrersi mentre il vortice della vita gira come una «pizza di liquirizia», ovvero il nome in gergo del disco in vinile, ripreso nel titolo anche come omaggio a una catena di negozi musicali californiana dei primi anni Settanta. È proprio lì, nei dintorni di Hollywood, che va in scena l’infinito cercarsi e sfuggirsi a vicenda di due giovani innocenti, quasi giocassero a nascondino nel backstage del regno dei sogni, pronti a salvarsi reciprocamente di continuo dallo scivolare nell’incubo della perdita di quella purezza grezza che il mondo degli adulti sembra voler soffocare.

C’mon C’mon (di Mike Mills): Luminose interviste per ritrovarsi. «Trova un modo per trovarti». L’ultima frase, sul finire dei titoli di coda, suona come un invito a vivere sereni. È sia lascito che chiave di lettura del film più delicato e vivido scritto e diretto Mike Mills. Chiude una coralità di testimonianze di giovanissimi, intervistati da Johnny (un Phoenix, magnetico nell’alchimia tra fisicità irrobustita e modi lievi), intento a condurre un’indagine sui sogni e le speranze per il futuro degli adolescenti statunitensi. Questo scandagliare la realtà – che ricorda precedenti italiani come il veltroniano «I bambini sanno» o «Arimo!» di Mirko Locatelli – si fa scenario per una storia intima: un viaggio nella genitorialità, dove privato e universale collimano, mentre nella dinamica tra zio e nipote riecheggia l’«Alice nella città» di Wenders. 

Elvis (di Baz Luhrmann): Nella gabbia del successo. Adorato, bandito, arruolato, trasformato in stella del cinema, rinato come rockstar e, infine, ingabbiato a Las Vegas. Elvis è passato attraverso tutto questo, ammaliando le folle con la propria fisicità inquieta e catturando gli animi con guizzi rivoluzionari, mentre la sua voce suadente ma anche graffiante, si faceva testimone di una società dagli equilibri fragili, ancora impaludata nel segregazionismo e già votata alle chimere del più sfrenato consumo di massa.

Triangle of Sadness (di Ruben Östlund): Crociera iniziatica e critica. Premiato con la Palma d’Oro a Cannes, il nuovo film del brillante cantore svedese del cinismo contemporaneo è un’autopsia del corpo sociale odierno, agonizzante dopo la caduta delle grandi ideologie e avvelenato dall’edonismo. Östlund mette in scena il viaggio iniziatico in tre atti di una giovane coppia di modelli, diretti verso una profonda presa di coscienza dei propri schemi comportamentali. 

Il mio vicino Adolf (di Leon Prudovsky): Quasi amici del Signor H. È una partita a scacchi contro il destino, quella che Malek Polsky ingaggia con fervore, quando decide di denunciare il suo nuovo vicino di casa come impostore. Terreno del duello è il Sud America del 1960, dove l’anziano polacco si è trasferito – unico sopravvissuto alle deportazioni naziste della sua famiglia – e conduce vita riservata, ai limiti della miseria, interessato solo alla cura delle sue rose nere, fiori che gli ricordano gli affetti. Nella landa desolata c’è un’unica altra abitazione, vuota, sul terreno confinante. Un giorno, ad occuparla, arriva il tedesco Herman Herzog, tipo schivo e brusco, con i tratti del viso nascosti dietro una folta barba grigia e inseparabili occhiali da sole a velare lo sguardo indimenticabile della Storia. «È Adolf Hitler, è sopravvissuto e si nasconde qui»

Tori e Lokita (di Jean-Pierre e Luc Dardenne): La fratellanza cura l’infanzia negata. Tori e Lokita cantano «Alla fiera dell’est», presagio d’una catena d’eventi da spezzare, per vincere l’ineluttabilità di un destino feroce. Arrivati in Belgio dall’Africa – sopravvissuti al Mediterraneo su un barcone – i due minorenni abitano in una casa-famiglia, ma sono ancora in debito con gli organizzatori della tratta, che reclamano soldi con intimidazioni. C’è fratellanza tra Lokita, premurosa sedicenne, e Tori, bambino già uomo per necessità di sopravvivenza. È un legame profondo che diventa scudo nella quotidiana battaglia per resistere all’infanzia negata e riverbera come sentimento cardine per indicare, all’umanità intera, una via di salvezza dalla morsa dell’indifferenza.

Licorice Pizza (di Paul Thomas Anderson)

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